Rush


USA 2013
Titolo Originale: Rush
Regia: Ron Howard
Sceneggiatura: Peter Morgan
Cast: Chris Hemsworth, Daniel Brühl, Olivia Wilde, Alexandra Maria Lara, Pierfrancesco Favino, Natalie Dormer
Durata: 123 minuti
Genere: Sportivo, Drammatico

La trama in breve: Il film racconta la rivalità sportiva tra i due campioni di Formula 1 James Hunt e Niki Lauda, concentrandosi prevalentemente sul campionato mondiale del 1976.

Quando ci sono degli eventi che non ti aspetti mai che possano accadere, coloro che sono gli artefici dell’accaduto meritano un elogio, oppure di venire sprangati sui denti. Quale sarà la sorte che toccherà a Ron Howard e al suo film di cui sto parlando?

Prima però devo introdurvi l’evento che non mi aspettavo accadesse: io odio la Formula 1, lo trovo uno sport talmente noioso e confinato ai tatticismi, uno sport in cui attualmente vince chi si ferma nel momento giusto, il che per uno sport in cui bisogna premere sull’acceleratore è una madornale contraddizione. L’evento è convincermi a guardare un film sulla Formula 1. Ovviamente un’altra Formula 1, quella di poco meno di 40 anni fa, se facessero un film su Michael Schumacher, per quanto sia stato un grande campione, mai e poi mai penserei di guardarlo.

Detto questo il film riesce ad arrivare a qualsiasi tipo di pubblico, è uno dei grandi meriti di quasi tutti i film di Ron Howard, oltre al fatto che il Ricky Cunningham di “Happy Days” si sceglie sempre i film giusti con cui guadagnare un bel po’ di soldoni e arruffianarsi una buonissima fetta di pubblico, quali ad esempio i due film tratti dai romanzi di Dan Brown, “Apollo 13”, “Cinderella Man” e potrei citarne tanti altri. Tutti film, tra le altre cose, che mi piacciono particolarmente.

Ron Howard fondamentalmente è un ruffiano, un lecchino, eppure riesce con i suoi film sia ad emozionarmi, sia a creare della tensione, sia a tracciare dei ritratti dei suoi personaggi che non sono per nulla stereotipati, come in questa pellicola, con un Niki Lauda capace di attirare su di sè la voglia di tirargli dei calci sui denti proprio come si dice che fosse il suo carattere e con un James Hunt che con il suo carisma e la sua spericolatezza riesce ad attirare su di sè il consenso delle persone.

Le gare, il campionato che il film vuole raccontare, sono un contorno secondo me. Il suo punto di forza sono i due personaggi principali, mentre le scene d’azione (le gare) sono quasi un riempitivo ben realizzato. E nel finale si evince uno dei grandissimi difetti del regista. L’ho già detto, Ron Howard è un grandissimo ruffiano e il finale è ruffianissimo come accade in moltissimi altri suoi film, con il tentativo, riuscito (e purtroppo è per questo che molti suoi film ruffiani mi fanno impazzire), di creare un’emozione facile ed immediata.

Ron Howard è riuscito a farmi amare un film sulla Formula 1. Impresa complicatissima. Ma si sa, Ron Howard è un ruffiano ed io ci sono cascato un’altra volta.

Voto: 8

World War Z


USA 2013
Titolo Originale: World War Z
Regia: Marc Forster
Sceneggiatura: Damon Lindelof, Matthew Michael Carnahan, Drew Goddard
Cast: Brad Pitt, Mireille Enos, Daniella Kerstesz, James Badge Dale, David Morse, Fana Mokoena, David Andrews, Sterling Jerins, Abigail Hargrove, Peter Capaldi, Pierfrancesco Favino, Ruth Negga, Moritz Bieibtreu, Ludi Boeken, Grégory Fitoussi
Genere: Azione, Apocalittico

La trama in breve: A Philadelphia e nel resto del mondo si scatena una terribile infezione che rende gli esseri umani simili a degli zombie. Il governo deghli Stati Uniti offre alla famiglia di Gerry Lane di vivere al sicuro su una nave federale, a patto però che Gerry parta alla ricerca di un rimedio assieme ad un virologo.

Tempo fa i film sugli zombie li avrei abbastanza evitati. Era un genere che non mi diceva molto di particolare e vedere delle creature, morte e poi resuscitate, in più dai movimenti lenti e particolarmente stupidi, che si nutrono di cervelli umani, non era una cosa che mi accattivasse molto. Poi però ho scoperto “The Walking Dead”, la famosissima serie tv sugli zombie che mi ha realmente fatto appassionare al genere tanto da cercare di recuperarne molti.

Questo film, tratto dall’omonimo libro firmato Max Brooks, si discosta abbastanza da quelli che sono i dettami del genere, a partire proprio da come vengono resi gli zombie in questione. Ovviamente c’è un interessa nel trovare una cura/vaccino per la malattia, cosa già vista, ma vi è un attacco su scala mondiale, con i maloati che mettono realmente a ferro e fuoco le città, mentre nei film classici sugli zombie l’infezione piano piano colpisce chiunque e le città si ritrovano invase da masse di corpi che si muovono a caso cercando qualcosa da mangiare.

L’innovazione più interessante in questa storia è il fatto di aver reso intelligenti (molto intelligenti) e veloci (abbastanza veloci) gli zombie. Come critica ci può stare il fatto che in questo modo vengano un po’ privati della loro natura apatica e terrificante, ma come mossa per creare ulteriore pathos ci sta. Normalmente in un film di zombie il singolo perde perchè viene attaccato da moltissimi, mentre nell’uno contro uno vincerebbe a mani basse. Qui bisogna aver paura anche di ritrovarsi da soli con uno zombie.

Per il resto il film, nel suo svolgimento, procede abbastanza bene. Non gridiamo di certo al capolavoro, ma è un film che si lascia guardare con un certo interesse e raramente soffre di momenti di stanca.

Voto: 6,5

A.C.A.B. – All Cops Are Bastards


Ho sempre odiato in modo molto particolare la moda degli ultimi tempi in voga tra i giovani di criticare a priori polizia, carabinieri e forze dell’ordine in generale. Ancora di più se a farlo è gente di 14 anni che lo fa quasi per moda e che si sente ribelle solo perchè grida cori come “Celerino figlio di puttana”, chiama le forze dell’ordine “sbirri”, come si fa nei film d’azione ammerigani o canta “Io che porto rancore alla guardia e al questore che vita di merda tu dormi in caserma non parli Italiano ma solo campano c’hai pure i baffoni ci hai rotto i coglioni gli amici tuoi veri son carabinieri infami veri”. Cori e parole che hanno soltanto poco senso.

Questa mia digressione iniziale c’entra poco col film A.C.A.B., anche se l’acronimo della sigla vuol dire proprio “All Cops Are Bastards”, altra sigla che negli ultimi tempi va di moda scrivere sui muri, sui banchi di scuola e sulle magliette. Un film che ci fa vedere, anche se in maniera molto grezza, la vita dei componenti delle squadre antisommossa di Roma.

Italia, Francia 2012
Titolo Originale: A.C.A.B. – All Cops Are Bastards
Regia: Stefano Sollima
Cast: Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini, Domenico Diele, Andrea Sartoretti, Roberta Spagnuolo, Livio Beshir
Genere: Drammatico

La trama in breve: Cobra, Mazinga e Negro sono tre celerini, tre agenti antisommossa, compagni di lavoro, che affrontano il loro lavoro negli stadi, per prevenire gli scontri tra tifosi, lungo le strade e le piazze durante le manifestazioni. Alla centrale arriva una nuova recluta, Adriano Costantini, che subito viene inserito nel mondo degli agenti antisommossa ed anche nel piacere che egli prova nel fare il punitore in nome della legge.

Il film si pone l’obiettivo di farci vedere la vita di questa squadra di agenti antisommossa, percorrendo le loro vite private e il loro impegno in quanto pubblici ufficiali, facendoci vedere il tutto con gli occhi, quasi ingenui, della nuova recluta Costantini. Si fa molto riferimento in tutta la durata del film al rapporto di fratellanza presente all’interno della stessa squadra, all’aiutarsi l’un l’altro e quant’altro.

Rapporto di fratellanza che però a parte qualche parola e poche azioni, non sempre viene reso nel migliore dei modi, sia dagli attori coinvolti, sia dal regista. Dalla sua, il film gode di una buonissima fotografia che, nonostante abbastanza grezza, riesce a rendere bene l’idea che vuol dare l’intera pellicola. Se quindi i personaggi non sono sempre caratterizzati al meglio, la costruzione dal punto di vista tecnico invece sembra essere molto buona.

Intelligente anche la decisione di non dare un’indicazione cronologica specifica del periodo in cui si svolgono i fatti del film, ma di ripercorrere come, nel bene o nel male, anche se più nel male, i celerini sono entrati agli onori (e disonori) della cronaca italiana. Molti sono i riferimenti ai fatti del G8 di Genova, in particolare sulla scuola Diaz (“Una delle più grandi cazzate della nostra vita” dice Cobra, aka il bravissimo Pierfrancesco Favino), il riferimento all’uccisione di Filippo Raciti durante gli scontri dopo la partita Catania-Palermo e all’uccisione di Gabriele Sandri da parte di un poliziotto.

Riferimenti che toccano da vicino i nostri protagonisti, seppur non diretti, delle vicende, portandoli a delle reazioni, talvolta spropositate, ai problemi che il lavoro gli pone.

Voto: 6,5

Romanzo di una strage


E’ sempre un bene quando qualcuno cerca di raccontare e mettere a portata di tutti le ombre storiche del proprio paese, soprattutto se ci si riferisce ad un periodo che raramente viene insegnato nelle ore di storia alle superiori e chi, come me, decide di intraprendere strade scientifiche, non avrà mai l’occasione di approfondire l’argomento, se non facendolo da solo. Cosa che, dopo la visione di questo film, ho puntualmente fatto.

Italia 2012
Titolo Originale: Romanzo di una strage
Regia: Marco Tullio Giordana
Cast: Valerio Mastrandrea, Pierfrancesco Favino, Laura Chiatti, Fabrizio Gifuni, Giorgio Tirabassi
Genere: Storico, Investigativo

Il film narra la storia e le varie implicazioni che nacquero dopo la strage di Piazza Fontana, del 12 Dicembre 1969. La storia viene narrata sotto tutti i punti di vista, con particolare attenzione a quello dell’anarchico Giuseppe Pinelli (interpretato da un ottimo Pierfrancesco Favino), animatore del circolo “Ponte della Ghisolfa”, e del commissario Luigi Calabresi, primo ad indagare sull’accaduto.

Un evento, su cui tuttora ci sono molte ombre. A partire dal fatto che siamo nel 2012 e il caso per lo Stato italiano non ha colpevoli. Inoltre, la morte di Pinelli è tuttora un grandissimo mistero nel mistero. Tenuto in questura in stato di fermo illegalmente per tre giorni (si poteva solo per due giorni, quindi o andava liberato o messo in carcere), muore cadendo dalla finestra durante un interrogatorio, tuttora inspiegabilmente. Il film (e anche il romanzo da cui è tratto) percorre su questo la tesi secondo cui Calabresi fosse uscito dalla stanza e tutto sia successo mentre lui non era presente. Anche su questo, nonostante sia stata tolta ogni responsabilità sull’accaduto al commissario, ci sono ancora molte molte ombre.

La narrazione procede ad un ritmo lento, atto a far comprendere appieno i fatti allo spettatore. Il più grande pregio del film è proprio quello di attenersi ai fatti storici, inserendo qua e là la propria tesi di fondo, soprattutto per quanto riguarda i misteri che avvolgono la vicenda, senza lasciarsi andare ad inutili, quanto fuori luogo, spettacolarizzazioni. Ci, come me, ha visto o vedrà il film per farsi un’idea chiara su questo evento, non rimarrà certamente deluso. La forma è molto cronachistica, forse per qualche ruolo si potevano scegliere attori migliori, come ad esempio il pessimo Sergio Solli, che interpreta Marcello Guida.

Voto 7+

La vita facile


Probabilmente questo è il primo film italiano di cui scrivo. Non ne sono un gran cultore nè particolare amatore, ma qualche volta una bella commediola italiana ci vuole. Quella di cui vi sto parlando merita una guardata, non è certo un film che vi rimarrà impresso nella mente per il resto della vostra vita, ma vi farà passare un paio d’ore con una certa leggerezza.

ITALIA 2011
Titolo Originale: La vita facile
Regia: Lucio Pellegrini
Cast: Pierfrancesco Favino, Stefano Accorsi, Vittoria Puccini
Genere: Commedia

La trama in breve: Mario (Pierfrancesco Favino) è un medico di successo, primario di una clinica romana, sposato con Ginevra (Vittoria Puccini). Su invito del collega Sergio, Mario si recherà in Africa a prestare assistenza medica al suo ex compagno di università Luca (Stefano Accorsi), figlio di Sergio volontario in Africa. Inizialmente ostile verso la nuova collocazione, Mario col tempo inizierà ad apprezzare il suo ruolo, finchè a un certo punto la moglie non deciderà di andarlo a trovare…

Nel film vengono trattati prevalentemente due temi. La difficoltà delle missioni umanitarie in Africa e il ritrovamento tra due amici che si sono persi da molto tempo. Il primo viene trattato con una certa leggerezza, tipica della commedia, concentrandosi più che sulle reali difficoltà della missione (anche se qualche riferimento molto chiaro ed esplicito c’è), sulle difficoltà che prova il nostro protagonista nell’ambientarsi in una nuova collocazione, quasi fosse impostagli dall’alto.

Il secondo invece viene sviluppato molto bene. I due sono amici di lunga data e lo dimostrano più volte, nell’aiuto reciproco, negli screzi, nel fare insieme un lavoro in cui talvolta vanno prese decisioni difficili e bisogna mandare giù rospi molto grossi e, perchè no, anche nel fare cazzate. La loro amicizia è chiara, finchè non arriverà la moglie di Mario, a svegliare vecchi rancori tra i due…

L’accoppiata Favino-Accorsi è ormai una sicurezza nel cinema nostrano. Le capacità di Favino sono sotto gli occhi di tutti, tanto da essere scritturato anche in molte grandi pellicole d’oltreoceano, mentre Accorsi ancora non ha fatto il grande salto, ma offre comunque prestazioni molto apprezzabili.

VOTO 6,5