Terapia d’urto


E’ giunta l’ora, questa domenica, di parlare di un altro dei miei grandissimi cult personali, con la partecipazione del mio attore prediletto Jack Nicholson e del comico che non mi fa particolarmente impazzire Adam Sandler

USA 2003
Titolo Originale: Anger Management
Regia: Peter Segal
Sceneggiatura: David Dorfman
Cast: Adam Sandler, Jack Nicholson, Marisa Tomei, John Turturro, Luis Guzmán, Jonathan Loughran, Kurt Fuller, Krista Allen, January Jones, Lynne Thigpen, Nancy Walls, Woody Harrelson, Kevin Nealon, Allen Covert, John C. Reilly, Adrian Ricard, Heather Graham, Don Diamont, Bobby Knight, John McEnroe, Derek Jeter, Roger Clemens, Rudolph Giuliani, Melissa Mitchell, Lindsay Weber, Harry Dean Stanton
Durata: 100 minuti
Genere: Commedia

La trama in breve: A seguito di un incarico di lavoro, Dave Buznik si imbarca su un aereo in cui tutto sembra andare nel verso sbagliato. Infatti si troverà di fianco ad un tipo piuttosto irrequieto che lo esaspera a tal punto da far nascere una piccola rissa. Costretto ad andare in terapia per il controllo della rabbia, provocherà un’altra rissa in un bar. A quel punto, a rischio galera, sarà proprio quell’uomo che si era trovato di fianco in aereo, il dottor Buddy Rydell, a garantire per lui davanti al giudice e per i due inizierà un rapporto a stretto contatto.

Questo è un altro di quei film che mi guardo praticamente a cadenza annuale da almeno dieci anni, ovvero da quando lo vidi per la prima volta. Semplicemente perchè lo ritengo una commedia che parte da uno spunto piuttosto geniale per poi sfociare in una visione che regala le risate più incontrollate.

E le risate escono spontanee a causa del ribaltamento dei ruoli presente in questo film: Buznik è in realtà un uomo tranquillo, timido ed innoquo, che finisce in terapia per un puro malinteso; Buddy, al contrario è uno psicologo che appare completamente pazzo e fuori controllo, dai metodi alquanto stravaganti ma che in un modo o nell’altro alla fine funzionano.

Ed in un film in cui Adam Sandler riesce a non sfigurare appare chiaro che, con il collega giusto, chiunque potrebbe fare la sua porca figura: per lui avere Jack Nicholson come spalla (anche se poi il protagonista effettivo, non lo si può negare, sarà proprio il suo personaggio) è un vero e proprio toccasana, tanto che, guarda caso, successivamente senza di lui ha fatto o delle inenarrabili porcate o dei filmetti banali, talvolta anche piacevoli, che però lasciano il tempo che trovano. Tra cui non escludo affatto “Jack e Jill” con Al Pacino, ma lì la debolezza stava in uno script assolutamente indecente e in un Al Pacino che si vede che recitava senza il minimo trasporto.

E, tra scene memorabili una dietro l’altra, il film scorre via fino all’inaspettato (per la prima volta in cui lo vidi) colpo di scena finale, probabilmente il finale per una commedia più solido che abbia mai visto, perchè alla fine fa quadrare tutto. Ciò che all’inizio ti poteva sembrare pazzesco alla fine acquista tutto un significato.

Voto: 9

Il dittatore


Dopo una serata passata guardando ben due film di Sacha Baron Cohen, che avevo già visto, ma mi fa sempre piacere rivederli, ho deciso che dovevo vedere quello che mi mancava, visto che i miei amici sarebbero andato a vederlo il giorno in cui io sarei dovuto partire. E così, dopo aver visto in una sera gli esilaranti “Bruno” e “Borat”, ho scelto per “Il dittatore”.

USA 2012
Titolo Originale: The Dictator
Regia: Larry Charles
Cast: Sacha Baron Cohen, Ben Kingsley, Anna Faris, John C. Reilly, Megan Fox, Edward Norton, B. J. Novak, Chris Elliott, Kevin Corrigan
Genere: Commedia

La trama in breve: Lo stato africano del Wadiya è da anni sotto la dittatura militare di Aladeen, che ha sempre rifiutato di concedere il petrolio del suo paese alle multinazionali estere. Sotto minaccia di bombardamento in caso egli non avesse fatto un discorso all’ONU, si reca in America, proprio per fare questo discorso. Tradito dal suo braccio destro, egli viene torturato e gli viene tagliata la barba, in modo da renderlo irriconoscibile agli occhi della gente e di mandare a fare il discorso il suo sosia, un vero e proprio burattino.

“Ali-G Indahouse”, “Bruno” e “Borat”, differentemente da questo film, avevano una grossa particolarità: il tutto era girato in stile candid camera, i personaggi interpretati facevano all’epoca parte di un programma televisivo in cui appunto andavano ad intervistare personaggi famosi, che non si rendevano conto di avere a che fare con un comico. Cosa che dopo l’uscita di ben tre film e dopo che la popolarità di Sacha Baron Cohen è cresciuta, non è stata più praticabile, in quanto ormai tutti lo avrebbero riconosciuto, nei panni di uno dei tre personaggi.

Ecco che dunque questo è un film nel senso più classico del termine. C’è una storia di fondo, si vuole fare ridere e lo si vuole fare usando una sorta di satira politica e culturale. Diciamo che se da un certo punto di vista la cosa gli riesce discretamente, purtroppo questa ultima opera in cui è coinvolto Cohen, la prima opera cinematografica “classica”, ha perso tanto dello smalto che aveva nei suoi precedenti lavori.

Con questo non voglio intendere che non faccia ridere, alcune scene esilaranti ci sono, rimangono le battute prevalentemente satiriche, ma l’attore rimane troppo legato allo stile che lo aveva contraddistinto nei precedenti film, non riuscendo ad ottenere lo stesso effetto (le cose che fa in Borat in un film “vero” farebbero ridere fino a un certo punto, è proprio la candid camera e il fatto che il pubblico lo sa a renderlo un film geniale) e facendo calare abbastanza l’effetto comico.

Prima opera di cinema che però può mettere le basi per un buon futuro, visto che ormai per motivi già detti, Baron Cohen non potrà più fare candid camera come faceva a inizio anni 2000.

Voto: 6+

…e ora parliamo di Kevin


Di film sulle stragi scolastiche ce ne sono a bizzeffe. Di stragi scolastiche o giovanili, ordite da pazzi criminali e asociali, ce ne sono state, purtroppo a bizzeffe. Quando si pensa a questi tipi di crimini con la mente si va quasi necessariamente a Columbine, nel 1999, in cui due ragazzi in preda alla pazzia uccisero 12 studenti e un professore, ferirono 24 persone e, a loro volta, si suicidarono. Ma anche alla più recente strage di giovani ad Utoya, in cui morirono più di 90 persone. Questi film, basati la maggior parte delle volte sui fatti reali o, quanto meno, ispirati ad essi, hanno sempre come protagonisti o le vittime o i carnefici. Probabilmente mai nessuno aveva pensato alle conseguenze, psicologiche e sociali, che fatti del genere possono provocare in un genitore. E’ proprio ciò di cui si occupa questo film.

Regno Unito, USA 2011
Titolo Originale: We Need to Talk about Kevin
Regia: Lynne Ramsay
Cast: Tilda Swinton, John C. Reilly, Ezra Miller
Genere: Drammatico

La trama in breve: Eva ha messo da parte tutte le sue ambizioni professionali per mettere al mondo un figlio, lasciando la città per vivere in provincia. Dalla nascita di Kevin la sua vita cambia radicalmente, e tra madre e figlio nasce subito un rapporto conflittuale. Con il padre, Kevin è un bambino tranquillo e affettuoso, mentre con la madre il rapporto è molto conflittuale. Tutto procdede finchè Kevin, non ancora sedicenne, decide di compiere una strage nella sua scuola. Il film ci fa vedere, con gli occhi di Eva, ciò che è costretta a vivere la donna dopo l’accaduto, ripercorrendo l’infanzia di Kevin ed interrogandosi sulle proprie responsabilità.

Mentre il titolo “…e ora parliamo di Kevin” potrebbe lasciar presagire una semplice commediola non preoccupatevi, è sempre colpa delle traduzioni italiane, che nei tiotli dei film fanno particolarmente pena. Infatti il film è un film pesante, difficile da digerire, drammaticissimo.

Ci viene fatto vedere, molto bene cosa prova la madre di Kevin, con i suoi sensi di colpa, amplificati anche dalla gente che le sta intorno, che la fissa continuamente come “la madre dell’assassino”. Nel ripercorrere il suo passato ci viene fatto vedere come era Kevin da bambino. Un bimbo assolutamente inquietante, che a tratti può essere collegato all’apatia inumana. Bambino che cambia radicalmente quando vede il padre, cosa che rende la sua figura ancora più inquietante.

Egli odia sua madre, fin da neonato probabilmente, il problema è che all’inizio non se ne vede il motivo. Perchè un neonato o comunque un bimbo di 3/4 anni dovrebbe odiare sua madre? Impossibile dirlo o capirlo, un comportamento che difficilmente giustificheremmo. In seguito ci vengono anche mostrate le reazioni della madre, che apparentemente non ama come dovrebbe questo bambino. Più e più volte ci viene fatto intendere che lei quel bambino non lo voleva e queste cose, nella mente di un figlio, in un modo o nell’altro, passano.

Non capiamo però le motivazioni che hanno spinto Kevin a compiere la strage a scuola. Che responsabilità può avere la madre in tutto questo? Io non ho una risposta e non sono riuscito a farmi una teoria. Ho preferito guardare il film tentando di non giudicare, ma solo di riflettere.

Voto: 8

Carnage


Per le famiglie moderne difendere strenuamente i propri figli è ormai diventata una pratica diffusissima. Molti ragazzi vengono difesi di fronte a qualsiasi cosa e alcuni vengono anche visti come motivo di confronto tra diverse famiglie. E’ questo il tema trattato dal film Carnage, diretto dal genio di Roman Polanski, che con pochi attori ed una scenografia molto semplice riesce a creare un vero e proprio gioiello.

Francia, Germania, Polonia, Spagna 2011
Titolo Originale: Carnage
Regia: Roman Polanski
Cast: Jodie Foster, Kate Winslet, Cristoph Waltz, John C. Reilly
Genere: Commedia

La trama in breve: Durante una lite, un ragazzino di 11 anni colpisce al volto un suo coetaneo con un bastone. I genitori dei due ragazzi decidono così di incontrarsi per discutere sull’accaduto. La discussione si trasformerà in molto di più di quanto si pensasse inizialmente e tra commenti e battibecchi si verranno a creare situazioni al limite dell’assurdo.

Un film dalla trama molto semplice. Anzi, la trama è sicuramente la cosa meno importante. Il film non ci vuole raccontare una storia nella maniera classica, ma ci vuole far comprendere e vivere una determinata situazione. Le due famiglie dopo l’accaduto si incontrano e cominciano a conoscersi. In tal modo si evidenziano le differenze tra le due coppie, differenze che si riflettono fortissimamente sul modo di vedere l’accaduto. Vengono evidenziati in maniera perfetta i diversi metodi educativi ed emergono i caratteri di tutti e quattro i personaggi.

Se da una parte la famiglia della vittima (Penelope-Jodie Foster e Michael-John C. Reilly) pare avere un atteggiamento pronto a giudicare negativamente il comportamento dell’aggressore, magari senza interessarsi di cosa sia realmente successo, dall’altra parte si scontra con l’apparente menefreghismo dei genitori dell’aggressore (Nancy-Kate Winslet e Alan-Christoph Waltz), soprattutto del padre Alan, che passa gran parte del tempo al telefono con i suoi clienti, creando dei clichè divertentissimi.

Dei quattro personaggi in scena i due che convincono maggiormente sono Michael e Alan. Il primo che spesso si introduce nel discorso con interventi e battute fuori luogo, il secondo con un’ironia piacevolissima, creata attraverso il tono giusto, la battuta giusta e soprattutto fatta al momento giusto sottolineandone l’assurdità.

Inevitabile anche il fatto che i conflitti fra famiglie alla lunga si trasformino in conflitti interni alla singola famiglia, creando anche l’assurdità di una specie di alleanza tra madri e tra padri.

La dimostrazione che con un’idea semplice si può rappresentare una realtà quotidiana con pochi mezzi in maniera originale e molto coinvolgente.

Voto: 8+